Ci sono persone che nascono per raccontare storie e storie che non vedono l’ora di essere raccontate. È questo il caso di Joe Bastardi e delle sue storie.
Nato ad Iglesias, classe ‘87, Joe vive i primi 18 anni della sua vita a Fluminimaggiore e dall’età di 16 anni scrive storie, principalmente fantasy. Durante quegli anni, però, i suoi interessi sono diversi: aspira alla carriera militare. Il suo destino cambia quando decide di prendere parte a un musical che il parroco del paese mette in scena per la notte di Natale:
Tra i 16 e i 18 anni per me è cambiato tutto.
Sono gli anni della svolta: Coco Leonardi, importante attore argentino, si trasferisce nel paese di Joe e va a vivere proprio vicino a casa sua, offrendogli l’occasione di fare amicizia. Poco dopo, Joe frequenta un seminario di sceneggiatura con Antonia Iaccarino.
Mi piaceva quel mondo e convinsi il preside del mio liceo a finanziare due spettacoli di fine anno di cui io ero il regista.
Raggiunta la maggiore età, con l’appoggio dei suoi genitori e di Coco Leonardi, Joe si iscrive all’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna. Il sogno sembrava aver preso la strada giusta ma, racconta Joe, non è tutto oro quel che luccica:
C’erano due problemi con cui non avevo fatto i conti. La prima era la mia giovane età. Entrai in Accademia a 18 anni, e l’età media degli altri studenti era di 30. Inoltre, avevo una grossa carenza culturale.
La difficoltà più grande è la scarsa conoscenza della storia del cinema. Joe è ancora acerbo, non conosce Kubrick, né Orson Welles. La sua cultura cinematografica, ci racconta, si fermava a Silvester Stallone, Jean-Claude Van Damme e qualcosa di Totò.
Il resto era una vastissima pianura inesplorata e della quale non avevo nemmeno il sentore dell’esistenza.
Nonostante termini l’accademia con il massimo dei voti e con 6 mesi in anticipo, Joe la ricorda come un’esperienza tutt’altro che positiva. Si può terminare rapidamente un percorso di studi perché ci appassiona tanto da “berlo tutto d’un fiato”, oppure perché ci diventa insopportabile al punto di non vedere l’ora di terminarlo: il caso di Joe all’Accademia Nazionale del Cinema.
Mi resi conto di non aver nulla da raccontare, di non avere una mia visione del mondo né un rapporto critico con la realtà.
Torna così in Sardegna e si iscrive all’Università nella facoltà di Filosofia di Cagliari. La fortuna è dalla sua e inizia a lavorare subito a un progetto di Cine-terapia portato avanti dalla Facoltà di Medicina nel suo paese. Conosce così Enrico Pau, di cui studia il metodo di lavoro e il modo di parlare e di pensare.
Durante il periodo universitario porta avanti alcuni suoi progetti, tra cui La terra dei padri, di cui scrive la sceneggiatura e gira un finto trailer.
Il risultato estetico mi soddisfaceva, ma ancora una volta erano i contenuti a mancarmi o a essere acerbi.
Una pausa, poi un atto di dolore
Joe decide di prendersi una lunga pausa, di rimettersi a studiare cinema per conto suo e intanto di lavorare a progetti altrui: inizia a collaborare con diverse band di cui gira i videoclip. La mancanza di fondi lo limita. Ma una passione vera si riconosce quando ti porta a trasformare ogni cosa che fai in un’occasione.
Ho lavorato sempre con budget irrisori, a scapito della qualità del prodotto finale e con la frustrazione di non potermi esprimere al massimo delle mie potenzialità. Tuttavia sono stati anche una grande palestra e ho imparato ad arrangiarmi, a organizzare una produzione con pochi mezzi e a dirigere una troupe.
Un progetto della facoltà di Medicina e di Enrico Pau lo porta in Albania, insieme allo stesso Enrico, per girare un documentario all’interno di un ospedale psichiatrico, esperienza che gli consente di conoscere più da vicino questo tipo di sofferenza umana.
Tendiamo a stare vicini a chi soffre fisicamente, ma spesso allontaniamo chi ha l’anima malata, o la mente.
Durante gli ultimi due anni di università, collabora con la compagnia teatrale LucidoSottile e con Jacopo Cullin, insieme al quale dirige il cortometraggio Buio, che vince diversi premi nazionali e internazionali.
C’ero quasi, a girare qualcosa di mio intendo.
Arriva subito dopo il cortometraggio White Rabbit, una favola metropolitana interamente scritta e diretta da Joe, esperienza che gli insegnerà come lavorare insieme ai bambini.
Ho lavorato in diverse scuole superiori, con progetti destinati a ragazzi che provenivano da ambienti culturali molto impoveriti e fortemente colpiti dalla crisi economica.
Intanto si laurea in Filosofia con una tesi sugli scritti filosofici, politici ed economici del giovane Marx. Il suo legame con la Filosofia durerà tutta la vita perché, ci dice Joe, “l’ha reso la persona che è oggi”.
Nel novembre 2012 parte per Capo Verde, in Africa, insieme a tre musicisti: Fabrizio Lai, Emanuele Pusceddu e Stefania Secci – la sua compagna. È un viaggio alla scoperta della musica e della cultura capoverdiana: il risultato è la produzione di un documentario, una sorta di road movie.
Di ritorno dall’avventura africana, durata due mesi, ho capito che era arrivato il momento di fare qualcosa di mio.
Grazie anche all’incoraggiamento di alcuni amici, tra cui il regista Peter Marcias, decide di mettersi a scrivere. Il risultato è Un atto di dolore, cortometraggio di 18 minuti che racconta la storia vera di una serie di abusi sessuali perpetrati da un sacerdote su alcuni bambini.
Questo corto mi ha dato tanto, sta iniziando a fare il suo percorso nei festival cinematografici e a vincere un po’ di premi.
Un atto di dolore si guadagna inoltre una menzione speciale all’I Filmmaker International Film Festival che si tiene in Spagna: un riconoscimento prestigioso per un lavoro pieno di coraggio.
La storia di Joe Bastardi, la storia di un grande talento sardo con una promettente carriera davanti, è appena iniziata. E delle sue storie, siamo sicuri, sentiremo ancora parlare.