Si definisce “sartista”, un incrocio fra sarta e artista, e sogna un coworking pieno di gente creativa: è la cagliaritana Caterina Oppia, ideatrice del laboratorio sartoriale di riciclo RICUCITE. La storia d’amore fra Caterina Oppia e l’arte del taglio e cucito nasce durante l’infanzia, ma cresce e si sviluppa durante l’adolescenza e, soprattutto, all’università:

Rammendo sin da piccola, spinta da mia nonna e mia mamma che facevano cose semplici come le riparazioni. Durante le scuole medie e il liceo ho fatto diversi esperimenti con il cucito. Ho sempre avuto una buona manualità.
Al liceo ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Moda e Costume alla Sapienza di Roma, poi ho seguito anche un corso di sartoria teatrale.

Dopo gli studi, Caterina decide che è il momento di fare un’esperienza all’estero: parte per Lisbona, dove comincia a lavorare per un atelier di abiti da cerimonia.

Per un anno ho fatto di tutto, volevo fare gavetta: ho lavorato come assistente della stilista, ma anche in sartoria e nel negozio poco fuori Lisbona. In sei mesi ho imparato molto.

Finita l’esperienza portoghese, Caterina rientra nella sua Cagliari, ma l’attende un periodo non certo facile:

Tra il 2011 e il 2012 ho portato il curriculum ovunque per continuare la mia gavetta. Ma nessuno mi ha preso in considerazione. “Sei giovane, ci rubi i clienti” mi hanno detto. Ho trovato un muro. Poi ho conosciuto Luciano Bonino.

L’incontro con l’avanguardista della moda, nonché profondo conoscitore del costume sardo, le permette di imparare tanto sulla professione:

Luciano ha avuto una grossa influenza sulla moda cagliaritana fino a quando questa non è mutata in qualcosa di più commerciale e meno legata all’innovazione. Fare la sua assistente è stato un onore. Adesso le cose sono diverse: magari si cerca ancora il pezzo unico, ma se è già di moda da qualche altra parte. C’è più consumismo che produzione e innovazione.

Oltre a quello con Luciano Bonino, c’è un altro incontro fondamentale per la carriera di Caterina: quello con Francesca Caruso.

Ho conosciuto Francesca Caruso durante un corso di sartoria e lì è nato il laboratorio Le RiCucite, un progetto che avevo già definito a Lisbona. Siamo partite facendo piccole cose, esponendo le nostre creazioni ai mercatini. Ognuno lavorava per conto suo, poi ci siamo trasferite insieme in una stanza con terrazza in Corso Vittorio Emanuele. Abbiamo avuto buoni riscontri sia sui social che durante le esposizioni.

Inizialmente tra Caterina e Francesca i problemi non mancano, ma insieme riescono a trovare una sintesi delle loro diverse concezioni di stile, finché Francesca non decide di prendere un’altra strada.

Avevamo due visioni differenti, non nego che inizialmente ci siano state delle difficoltà, ma siamo riuscite, col tempo, a trovare una sintesi. Ci siamo trasferite in un locale più grande e siamo state due anni insieme, poi Francesca ha abbandonato il progetto Le RiCucite e ha aperto una sartoria.

Il progetto Le RiCucite, però, non muore con l’abbandono di Francesca, ma rinasce dalle ceneri con un nuovo naming e una nuova immagine.

Il distacco da Francesca mi ha fatto soffrire, ma ho capito che dovevo ripartire in fretta. Ho rifatto il naming, che da Le RiCucite è diventato RICUCITE. Ho coinvolto un graphic designer, Luca Carboni, con cui ho rifatto il logo. Ora il progetto è completamente mio.

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RICUCITE, o del (ri)dare vita ai tessuti

Il cuore del progetto di Caterina è il riciclo dei tessuti in disuso, da cui parte per dare forma alle proprie idee:

Il progetto in sé riguarda il recupero di qualsiasi tipo di tessuto e accessorio, dagli abiti ai jeans, dai pigiami alla tappezzeria. Quando inizio a cucire, non ho un’idea precisa in mente: vedo quello che ho in mano e vedo quello che succede nella mia testa. L’idea cambia spesso in corso: magari comincio a lavorare con l’idea di cucire una t-shirt e poi vado a parare da tutt’altra parte.

Caterina ama ridare vita a tessuti inutilizzati e considerati inutili:

Al centro ci dev’essere il recupero del tessuto, il modello dev’essere vestibile da più persone. Per questo creo modelli minimali e multitaglia. Non c’è bisogno di comprare una maglietta nuova: dammi un lenzuolo o un qualsiasi altro tessuto e te la cucio io! I miei modelli sono semplici, non ho poi grandi pretese stilistiche. Sulla base di un modello esistente creo un modello tutto mio.

Per cucire un pezzo unico, Caterina ha bisogno di conoscere a fondo chi le ha commissionato il lavoro:

Fra me e il cliente c’è uno scambio, cerco di capire cosa vuole, ma soprattutto chi è. Capire chi ho davanti è fondamentale per il mio lavoro.

Il prezioso lavoro di riciclo della “sartista” è molto apprezzato e comincia a dare i suoi frutti:

Se mi avessero dato un euro per tutti i complimenti che mi hanno fatto, sarei straricca. Su Facebook ho un ottimo riscontro; poi, grazie ai tanti amici che mi aiutano, le mie creazioni girano in Italia e all’estero, da Roma alla Spagna, dalla Germania al Brasile.
Inoltre mi sono proposta a Recyclerie, un negozio vintage a Cagliari, che mi ha accolta così come ha fatto con altri creativi. Grazie a loro e all’app Depop riesco a vendere i miei lavori.

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Caterina non intende fermarsi con il laboratorio RICUCITE:

Fra i progetti futuri c’è quello di mettere su un team dove avrei il ruolo di “mente” oltre a quello di sarta. Vorrei avere al mio fianco una persona che mi aiuti a cucire e un’altre che si occupi dei social. Mi piacerebbe anche creare uno spazio di coworking con diverse discipline come grafica, design, stampa, architettura e fotografia. Qualcosa in cantiere già c’è, sto aspettando che tornino alcune persone. Questo è il grande progetto della mia vita.

Ago e filo, riciclo e uno spazio di coworking: quelli della sartista Caterina Oppia sono sogni grandi, che volano alti come aquiloni.

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Le fotografie sono di La Stram.