Quanti di noi da bambini, entrando in una vecchia stanza, non sono stati stuzzicati dalla curiosità di aprire un baule alla ricerca di un tesoro?

A partire dal 2003 Martina Floris, mente, braccia e anima del Baule del gatto, lo rende possibile attraverso la creazione di gioielli, borse, magliette.

Ho scelto questo nome perché per me i gatti sono creature che stanno tra il mondo reale e il mondo “dell’oltre”, cioè della magia, dell’ispirazione e della fantasia: chi meglio di un gatto come guardiano di un baule misterioso in soffitta? Di quei bauli antichi, con tutti quegli oggetti che agli occhi di un bambino sono veri e propri tesori magici.

Per Martina ognuno di noi, nella vita, viene travolto da un’improvvisa passione per qualcosa, come quando lei, a cinque anni, ha preso in mano una penna e ha visto il foglio bianco davanti a sé riempirsi di immagini e colori: la sua passione.

Il baule del gatto-lupo

Questa passione l’ha portata a migliorarsi, a studiare, a trovare nuovi modi per creare e nuove materie da utilizzare.

Molto lo devo all’aver contribuito a un carro di carnevale, all’aver lavorato al teatro delle mani come scenografa e alla costruzione di burattini. Molte volte ingegnarsi per ottenere quel determinato effetto o oggetto ti porta a sperimentare e dunque conoscere nuove cose.

I murales hanno avuto un ruolo importante nell’evolversi delle sue tecniche pittoriche.

I miei preferiti in assoluto sono stati quelli del locale che era sito in via Mameli a Cagliari, il Neverland. Non erano quelli fatti meglio ma sicuramente i più sentiti, perché per noi quel locale è stato il punto di ritrovo per anni. Degno di nota è stato un fondale marino per un bambino che ancora doveva nascere.

Martina ha deciso di condividere le immagini della sua fantasia non più solo attraverso la pittura, ma anche attraverso l’artigianato, utilizzando e scoprendo nuovi materiali con cui esprimersi e dando nuova linfa a vecchi oggetti che hanno ancora storie da raccontare, il tutto arricchito con richiami legati a natura, ingranaggi, fantasy e art nouveau.

Per i gioielli uso soprattutto l’argento. Per poterlo usare al meglio ho imparato a saldare, traforare, filigranare, tutto da autodidatta, sino a poco tempo fa. Poi uso l’ottone, soprattutto per il genere medioevale, e l’alluminio. Oltre alle pietre dure, incastono e intreccio ingranaggi, serrature e chiavi. Vecchie scatole di sveglie da viaggio o rasoi diventano pochette, stoffa di vecchi campionari o di abiti diventano borse in  stile vittoriano o steampunk.

Il baule del gatto-gioiello

Locus amoenus

Martina, partendo dall’esperienza del suo vecchio laboratorio, vorrebbe avere uno spazio nuovo, ampio, in un quartiere ricco di movimento, così da poter crescere, comprare altre attrezzature e fare un salto di qualità.

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L’artista vorrebbe poter lavorare anche a stretto contatto con altri creativi per fare fronte comune in un periodo in cui, che si viva in Sardegna o meno, se si è artigiani non si ha vita semplice, senza contare i problemi interni del mondo dell’arte. Nel suo cammino ha avuto però la fortuna di vedersi porgere la mano da altri creativi, motivo di crescita personale.

Due grandi soddisfazioni le ho avute grazie alla collaborazione con una gioielleria di Oristano Rosy orologi e bijoux, la cui proprietaria ci tiene a dar spazio ai creativi sardi e grazie a un’amica, Mano Bosastu, da cui ho seguito un corso di filigrana.

Ora Martina ha recuperato il vecchio magazzino e aperto il suo punto creativo. Le sue creazioni sono la rappresentazione tattile di ciò che l’artista vuole donare.

Voglio regalare un’emozione. Forse è banale come frase, ma è così. Per me sono la rappresentazione dei tesori che avrei voluto trovare o dei mondi segreti che avrei voluto scoprire, per un’altra persona possono essere portafortuna o il ricordo di un momento o un regalo speciale.

Il baule del gatto-gioiello

 

Nonostante la crisi del “fatto a mano”, le creazioni di Martina, ricche di magia, intricate e delicate allo stesso tempo, ci vengono donate come portali magici verso un mondo che forse solo da bambini riuscivamo a vedere.

 

Foto di Rodolfo Serpi e Martina Floris.